Grappoli di Buchi Neri

di Giulia Fabriani

Immagine dell'ammasso NGC6397 scattata dall'Hubble Space Telescope (HST). Credit: HST/NASA/ESA.

Un’inaspettata scoperta è protagonista di uno studio firmato dall’Università della Sorbona di Parigi. Una coppia di ricercatori, Eduardo Vitral e Gary Mamon, ha identificato, grazie ai dati raccolti dal telescopio spaziale Hubble, un gruppo di piccoli buchi neri al centro dell’ammasso NGC6397, distante più di 7000 anni luce da noi.

NGC6397, uno degli ammassi globulari più vecchi e vicini al nostro pianeta, non mostra infatti al suo centro un unico buco nero massiccio, come previsto dai ricercatori. L’analisi del nucleo dell’ammasso ha rivelato la presenza di un gruppo di buchi neri di piccola massa di origine stellare: questi buchi neri sarebbe quindi il risultato delle fasi evolutive finali delle stelle e della loro morte.

I ricercatori sono giunti a questa inattesa scoperta studiando il movimento degli astri nell’ammasso, identificandone, nel tempo, le posizioni e le velocità: lo studio ha utilizzato le immagini catturate dal telescopio Hubble in diversi anni. «Abbiamo trovato prove molto forti di massa invisibile nelle dense regioni centrali dell’ammasso», commenta Vitral, «abbiamo scoperto che questa massa non è puntiforme ma si estende in una parte dell’ammasso». Gli scienziati, basandosi sulla teoria dell’evoluzione stellare, hanno concluso che la massa sconosciuta sia composta da stelle di neutroni o nane bianche (troppo deboli per essere osservate), deducendo che la maggior parte di questa massa invisibile sia costituita da buchi neri di massa ridotta, ipotesi sostenuta da precedenti studi sulle regioni interne degli ammassi globulari.

Ammasso globulare NGC6397. Credit: Roberto Mura.

Ma non è tutto: i ricercatori ipotizzano che fusioni di popolazioni di buchi neri simili a quelli osservati potrebbero essere responsabili dell’emissione dei segnali gravitazionali rilevati dagli interferomentri della collaborazione LIGO-Virgo, che nel 2015 registrarono la prima onda gravitazionale mai osservata. I risultati dello studio, pubblicato su «Astronomy & Astrophysics», saranno il punto di partenza per future ricerche sia in ambito stellare che gravitazionale.

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